Dove vanno i data center? 5 punti su cui riflettere

Dove vanno i data center? 5 punti su cui riflettere

Prosegue il nostro viaggio, virtuale, tra i protagonisti della cloud italiana alla scoperta di strategie, visioni e tendenze. Dopo la chiacchierata con i manager di Elmec, abbiamo incontrato Matteo Biancani, direttore commerciale per l’Italia di Interoute, una multinazionale del networking con alcune peculiarità, attiva con i suoi data center soprattutto in Europa Occidentale ma con l’occhio proiettato ad Est confermato dalla recente apertura di un virtual data center a Istanbul.

Dalla conversazione con Biancani abbiamo capito 5 cose sui data center, sui managed services, sul disaster recovery e sul supporto.

  1. L’enterprise è il nuovo carrier
    Non è una novità che il business vero sia lì. E, per la conformazione tipica di una multinazionale, o di un’azienda con sedi estere e uffici periferici, ci vuole un’offerta globale, in nodi, reti e servizi multilingua. “Siamo nati come “carrier di carrier” – afferma Biancani – ma dal 2005 ci siamo rivolti anche al mercato enterprise, fino a un taglio medio, ma comunque alto in termini di postazioni”.
  2. Prossimità e globalità
    È un lavoro complesso: da una parte, come detto, ci vuole un’offerta globale, dall’altra il presidio periferico è opportuno. “In Italia lavoriamo insieme a Hwg – spiega Biancani – un partner di Verona estremamente qualificato che ci supporta in tutto il nord, l’area in cui siamo più presenti, e soprattutto nel nord-est”. Il ruolo di questi partner è fondamentale, sebbene Interoute abbia una gestione centralizzata del servizio di assistenza (Praga e Sofia), spesso è dalla Lan del cliente che partono i log: un servizio di prossimità che parla la stessa lingua del cliente, non sempre strutturato e competente, Interoute lo offre come Premium Service.
  3. Le banche sfuggono
    Si dice che il ritorno agli investimenti delle grandi aziende vedrà in testa i Cio delle banche, si dice. “Certo, le banche sono certamente il target più interessante e interessato – osserva Biancani – ma le dinamiche di ingaggio restano complesse”. Interoute ha una presenza storica nel manufatturiero, nella produzione industriale, referenze importanti nel fashion ecommerce, la Uefa e l’Agenzia Spaziale Europea, e qualche progetto in conclusione nel settore trasporti e corrieri, uno di quelli da tenere ben presente.
  4. Pubblico, privato o ibrido?
    “È ormai chiaro che la cloud pubblica ha dimostrato qualche lacuna – prosegue il manager – ma liquidare la nostra come pubblica è restrittivo. La nostra piattaforma si trova all’interno di Mpls (Multi Protocol Label Switching) e domini fisici di proprietà. Abbiamo 16 nodi, la maggior parte di proprietà, in qualcuno siamo in colocation e in via Caldera a Milano abbiamo un edificio a disposizione”. Quella di Interoute, insomma, è una cloud pubblica su struttura prevalentemente privata che, soprattutto, può contare su 70mila km di rete proprietaria, un valore notevole e una riflessione da fare.
  5. Disaster Recovery sì, ma dove?
    Altro tasto dolente dell’offerta della maggior parte dei Managed Service Provider: dove si esegue la ridondanza? Se anni fa ci hanno convinto che per una cloud il luogo fisico non è importante, tantomeno dove si ridonda, oggi ci si dovrebbe ricredere. Per esempio, Interoute ha a disposizione tre direzioni fisiche diverse, “Il nostro vantaggio è che possiamo contare su una infrastruttura in fibra ottica – spiega Biancani – profondamente ridondata che, per esempio su Milano, si sviluppa su tre direzioni fisiche diverse”.

 

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