Quanto vale Android in Europa

Quanto vale Android in Europa

Gli addebiti rivolti dalla Commissione Europea a Google per Android, accusato di avere una posizione dominante sul mercato, cioè contraria alla libera concorrenza, fa risaltare il peso e il valore del sistema operativo open di Mountain View nel mondo del mobile: gli smartphone e i tablet col robottino verde sono tanti, ma con differenze da paese a paese.

I dati di comScore prodotti a febbraio, quando ancora non era noto l’esito delle indagini dell’antitrust promosse da Margrethe Vestager, sono utili a capire subito di cosa si parla quando si parla di Android. Due statistiche relative alle quote di mercato in Italia dicono già molto: il 68,4% dei possessori di smartphone sopra i 13 anni ha un smartphone Android, percentuale che sale al 65,1% per i tablet. Significa 21 milioni di smartphone e qualche milione di tablet, gli oggetti che stanno trainando sempre di più in questo paese la platea dei navigatori in Rete.

La quota di mercato di Android in Italia, nel settore degli smartphone, rispetto alla concorrenza. I dati ComScore risalgono a febbraio 2016.

La quota di mercato di Android in Italia, nel settore degli smartphone, rispetto alla concorrenza. I dati comScore risalgono a febbraio 2016.

La denuncia dell’antitrust riguarda tutta l’area euro, e anche in questo caso la predominanza nelle quote di mercato viene confermata pur con qualche sensibile differenza tra i diversi paesi. Android mantiene una rilevanza attorno al 60-65% in gran parte degli stati membri dell’Unione, con il picco dell’83,6% in Spagna e un risultato molto più basso nel Regno Unito, dove invece rappresenta il 51,3%. Molti di questi numeri dipendono da rapporti commerciali coi produttori, dal successo di prodotti concorrenti – in primis quelli di Apple e Microsoft – anche da legislazioni nazionali e penetrazione della banda larga. Insomma, sono numeri che da un lato sembrano giustificare l’allarme dell’autorità della concorrenza, che sostiene che Google nega indirettamente una scelta più ampia di servizi dentro e fuori il sistema operativo, dall’altro però sembrano dare ragione anche a Google medesima, che invece evidenzia la natura libera degli accordi industriali e anche la possibilità per i costruttori, come Amazon, di personalizzare il sistema operativo anche nel rapporto con l’app store.

L'audience europea sul mercato smartphone riserva qualche sorpresa. Non c'è paese dove Android non rappresenti la maggioranza, ma si va da quella risicata in UK (dove Apple è storicamente forte), a quella altissima in Spagna. Italia, Germania e Francia si attestano a percentuali che rappresentano la media europea.

L’audience europea sul mercato smartphone riserva qualche sorpresa. Non c’è paese dove Android non rappresenti la maggioranza, ma si va da quella risicata in UK (dove Apple è storicamente forte), a quella altissima in Spagna. Italia, Germania e Francia si attestano a percentuali che rappresentano la media europea.

Che fare? La proposta di Quintarelli

Andando oltre il caso Android, la politica si chiede cosa fare con questi colossi della silicon valley. È peregrino pensare che una multa possa cambiare davvero queste dinamiche, che sono basate in sostanza sul rapporto virtuoso tra i grandi risparmi dei fondi di investimento e questi ambienti tecnologici, la possibilità per le aziende americane di indebitarsi enormemente, conquistare fette di mercato con un livello – va ammesso – di innovazione sorprendente, e infine il posizionamento. Stefano Quintarelli, deputato fra i più attivi e preparati su questi temi, ha così commentato la notizia sul suo blog:

Gli incentivi a non compiere abusi sono molto limitati: se hai successo nell’abuso, la sanzione arriva dopo la conquista del mercato, e si paga la sanzione parametrata sui ricavi degli anni precedenti: non è un grande problema. Se non lo si è conquistato, si fallisce e anche in questo caso la possibile sanzione non è un problema. Per questo occorrono delle semplici norme procompetitive ex ante, tipo il diritto di installare e disinstallare qualunque software dal device da parte di chiunque.

La soluzione? Ad esempio, l’Intergruppo per l’Innovazione ha presentato un progetto di legge sulla concorrenza online, che ha iniziato il suo iter di discussione un anno fa ed è sicuramente destinata ad avere un certo impatto sulla discussione nel merito. La legge parte da un presupposto: i cittadini devono avere massima libertà di accesso e di decisione sui contenuti vogliono inviare e ricevere, quali servizi, applicazioni, hardware e software vogliono usare a tale scopo e dove fornirsene. «Sono gli utenti», si spiega nel prologo, «liberi da ogni condizionamento, e non i fornitori di accesso a Internet, a poter chiedere di privilegiare una classe di servizio; non sono gli operatori a imporlo agli utenti sulla base di accordi stipulati con fornitori di contenuti e servizi».

Per ottenere questo risultato la legge, composta di 4 articoli, qualifica il servizio di accesso, stabilisce i limiti della gestione del traffico praticabile dagli operatori e delle relative modalità di offerta commerciale, nel rispetto del principio che la scelta di eventuali prestazioni, oltre al «normale» accesso a internet (cosiddetto «best effort») deve essere effettuata liberamente dall’utente, e infine stabilisce il diritto degli utenti di reperire liberamente contenuti, servizi e applicazioni legali, su qualunque piattaforma. Sarebbe l’equivalente per mobile, eCommerce e in generale per l’economia attuale delle piattaforme, di quanto accaduto nell’ambiente telefonico e nell’ambiente sistemi desktop browser più di dieci anni fa.

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